STORIA DI UN GRANDE AMORE A STRISCE
Cari lettori che ringrazio perché mi seguite con affetto ed
apprezzate i racconti che propongo. Questa volta apro una rubrica rivolta
esclusivamente ad alcuni lettori che condividono la “Storia di un grande amore
a strisce”. Siamo in ambito sportivo e invito ognuno di imitare questa rubrica
se è appassionato della propria squadra. La mia passione nasce a strisce da più
di 60 anni e di campioni ne ho visto passare tanti. Ho visto anche alcune
partite della mia Juventus e sono rimasto folgorato, un amore che come tanti
altri appassionati ci portiamo dietro. In esempio l’emerito preside Luigi
Aiello oppure il pediatra Ernesto Littera, insomma sono in buona compagnia, ne
potrei citare tantissimi altri come il ristoratore Maurizio Pignataro, tutti
innamorati dal bianco che abbraccia il nero. E vorrei proprio iniziare con il
testo dell’inno che, secondo me, è il più bello scritto per una società.
Naturalmente per ogni tifoso di altre maglie la prevalenza sarà quello che li
rappresenta, ma trovo in “Storia di un grande amore” le strofe giuste per
emozionarsi restando affascinati non dal presente che lasciamo la cronaca ad
altri, ma dal passato, quel passato dimenticato o che si ricorda a malapena. Io
stesso non ho mai capito per chi tifava mio padre, probabile per il grande
Torino, ma non ne sono certo, eppure
giocava la famosa schedina tutte le settimane e la domenica nell’attesa si
viveva in modo diverso i risultati: papà Gabriele con la speranza di fare 13 ed
io, invece, per festeggiare la vittoria dell’amata Juventus. E proprio
ricordando il passato questa rubrica si occuperà principalmente di ricordare i
vecchi campioni, quelli che hanno fatto epoca e partecipato a costruire un mito
affascinante. In un certo qual modo servirà anche a rendere più lieve la
passione di chi oggi vede nei dirigenti, nell’allenatore o nei calciatori un
ambiente diverso dapprima in cui si sottolineava lo stile Juventus. Ma cosa ci
dicono le strofe dell’inno della squadra più blasonata d’Italia, sicuramente la
più amata e altrettanto odiata? Non vorrei però parlare di odio, non
bisognerebbe mai provarlo e ne è un esempio la mia famiglia, con me sfegatato
juventino e mia moglie altrettanto interista, eppure dopo aver superato il
primo impatto anche questa passione per squadre diverse, sempre a strisce, la
nostra unione si è ulteriormente cementata nella goliardia di prenderci in giro
se una o l’altra perde la partita. In questo clima di appartenenza,
simpaticamente da tifoso, la storia dell’inno juventino nel 1972 e fino al 1991
fu “Juve Juve”, pezzo scritto da Renzo Cochis) all’epoca batterista dei Jet) e
Lubiak (Filice Piccaredda, produttore e autore). Il pezzo viene riportato anche
a nome di Piero Cassano (musica) e Paolo Limiti/Maurizio Seymandi (testo). I
bianconeri in particolare hanno avuto 5 inni ufficiali, molto diversi tra loro.
Il primo inno, comunque, fu composto nel 1919 da Gigi Collino e completato da
Sandro Zambelli e furono utilizzati 22 giocatori. E arriviamo a quello attuale:
Storia Di Un Grande Amore, scritto da Claudio Guidetti e Alessandra Torre e poi
arrangiato dal tifosissimo bianconero Paolo Belli, che recita: Simili a
degli eroi, abbiamo il cuore a strisce. Portaci dove vuoi, verso le tue
conquiste. Dove tu arriverai, sarà la storia di tutti noi. Solo chi corre può,
fare di te la squadra che sei. Juve, storia di un grande amore Bianco che
abbraccia il nero Coro che si alza davvero, per te. Portaci dove vuoi, siamo
una curva in festa come un abbraccio boi, e ancora non ci basta. Ogni pagina
nuova sai, sarà ancora la storia di tutti noi. Solo chi corre può, fare di te
quello che sei. Juve, storia di un grande amore Bianco che abbraccia il nero
Coro che si alza davvero, solo per te. E’ la Juve, storia di quel che sarò.
Quando fischia l’inizio Ed inizia quel sogno che sei Juve, storia di un grande
amore Bianco che abbraccia il nero Coro che si alza davvero Juve per sempre
sarà. Juve, storia di un grande amore Bianco che abbraccia il nero Coro che si
alza davvero Juve per sempre sarà. Per chi è sensibile a certi colori è
emozionante cantarlo tutti assieme allo Stadium. Veniamo ai campioni del
passato. In questa prima segnalazione non possiamo che partire dal mitico
portierone Combi, che assieme a Rosetta e Calligaris formava una difesa quasi
imbattibile. Giampiero Combi nato a Torino il 20 novembre del 1902 e morto ad
Imperia nel 1956 è stato un portiere di grane classe, una delle colonne della
squadra che ha dominato per tanti anni in Italia. Milita esclusivamente nelle
file della Juventus e con i bianconeri vince cinque scudetti: nel 1926, nel
1931/32/33/34, totalizzando 367 presenze. Forma con Rosetta e Calligaris il più
famoso terzetto di difesa che sia mai esistito. Di media statura per
quell’epoca (171 cm.), muscolato in modo meraviglioso, ha una struttura fisica
robustissima. E’ detto Fusetta, che in dialetto piemontese significa lampo,
petardo. Al termine della stagione 1924/25: “Voleva quasi lasciare – racconta
il fratello Maurizio – lui rappresentava la parte commerciale della nostra
distilleria di liquori e doveva partire per l’America. Ne parlò alla Juventus e
così diventò professionista. Ha avuto la prima macchina ed è diventato
grandissimo. Io mi ero dato al canottaggio. Mi attirava quella
disciplina seria, e ho vinto due titoli italiani; ma mio fratello è stato un
vero campionissimo. Ha giocato con tre costole incrinate, dopo una partita con
il Modena; con la Cremonese ha giocato con la vertebra coccigea incrinata, stava
appoggiato al palo e interveniva quando era necessario. Non voleva perdere il
posto, si preoccupava sempre di perderlo. Forse più si è bravi meno si è sicuri
di esserlo. Ha giocato anche con l’itterizia, tutto fasciato, nel gran freddo;
ha giocato con i polsi e le dita e la faccia scassati; ha giocato». In un
Juventus-Bologna, fa una parata incredibile: Angelo Schiavio, che è un
fuoriclasse, un grandissimo campione e un gentiluomo, si presenta da solo
davanti a lui. Lo stadio piomba in un silenzio angoscioso, allucinante; i due
grandi campioni si guardano negli occhi e Schiavio, con una finta, indirizza la
palla nell’angolo, alla sinistra di Combi, il quale intuisce il tiro e, con un
gran balzo, respinge a pugni chiusi. L’attaccante felsineo è di nuovo sul pallone
e, senza aspettare un istante, tira ancora, esattamente nello stesso angolo di
prima, dove Gianpiero è rimasto ad aspettare la palla, per bloccarla
comodamente. Combi, giocatore di rara intelligenza, aveva capito che Schiavio,
vedendolo a terra nell’angolino sinistro, avrebbe creduto che si sarebbe
buttato dall’altra parte, dove ogni altro giocatore al mondo, all’infuori di
Schiavio, avrebbe indirizzato il pallone. E, contrapponendo l’astuzia
all’astuzia, era rimasto fermo, sicuro della mossa dell’attaccante bolognese,
il quale, non appena Combi si alzò da terra, corse subito a stringergli la
mano. Giocatore dotato di grande serietà e dirittura morale, è senza alcun
dubbio uno dei migliori portieri che abbia prodotto il calcio italiano.
Conclusa la sua vita di calciatore, Combi diventa dirigente. Il suo giudizio è
competente e ponderato, fatto di tanto buon senso e tanta esperienza. Mai un
apprezzamento azzardato, mai una valutazione che non fosse ben pensata. Nel
consiglio direttivo della Juventus porta la sua saggezza, la sua onestà. Viene
anche chiamato alla direzione della squadra nazionale con Busini e Beretta in
un periodo agitato della vita calcistica.
La morte lo coglie nel 1956 mentre coopera con Umberto Agnelli a risollevare i
destini della Juventus: anche grazie a lui e ai suoi preziosi servigi, la
squadra bianconera rivedrà, in poco tempo, le stelle. (fonte TuttoJuve.com). Ci
sarebbero tanti altri racconti su questa figura carismatica e nella Nazionale il suo stile sobrio, tutto basato sul
razionale calcolo del piazzamento.
Divenne campione del mondo nel 1934, è considerato, insieme a Planicka e
Zamora, il miglior portiere dell’anteguerra.
Ermanno Arcuri
“Per Appassionarsi al Presente bisogna conoscere il Passato”.