Nel maestoso scenario
di Villa Rendano, a Cosenza, Arcangelo Badolati ha presentato il suo nuovo
libro definito il “lavoro della maturità”: SANTISTI & ‘NDRINE narcos,
massoni deviati e killer a contratto. Dopo l’introduzione di Ginevra Vercillo,
la moderatrice Antonietta Cozza ha curato la presentazione delle personalità
intervenute: Giuseppe Lombardo, Procuratore aggiunto di Reggio Calabria;
Attilio Sabato, giornalista e scrittore; Giap Parini, docente Unical e
sociologo; Riccardo Giacoia, giornalista Rai. Il lavoro di Badolati non è mai
un banale racconto di fatti noti ma una costante ricerca negli archivi, di
sentenze, di informazioni, di aneddoti, di dichiarazioni. Il suo viaggio parte
dall’Australia, con le vicende di “don Cecè”, Vincenzo D’Agostino, primo capo
della ‘ndrangheta in Australia, dedito, oltre che alla delinquenza, ad
impartire insegnamenti ai suoi sottoposti, col vecchio ma anche innovativo
metodo “senza scrusciu e senza sangu”. L’autore torna in Calabria e racconta
dell’infiltrazione mafiosa nell’imprenditoria internazionale tramite il c.d.
“sistema ‘ndrangheta”: “la mafia calabrese è una holding criminale che agisce
su scala internazionale, condiziona le attività economiche di tre continenti e
si muove attraverso consorterie diverse che innervano i territori”, scrive
Arcangelo Badolati. Poi scrive dei “don”, davanti ai quali ci si doveva
preventivamente scusare se l’interlocutore avesse dovuto, a breve, pronunciare
la parola “carabinieri”. Un libro, anzi, un manuale interessantissimo in toto,
elogiato anche dal Procuratore Lombardo soffermatosi sul capitolo “La
‘ndrangheta stragista”. Lombardo ha spiegato, come fosse una lezione magistrale
ma usando un linguaggio comprensibile a tutti, che mentre Cosa Nostra siciliana
metteva a punto le stragi di Capaci e via D’Amelio la ‘ndrangheta non stava
certo a guardare, sfatando il mito secondo il quale i mafiosi calabresi non
avrebbero mai attaccato lo Stato frontalmente, ma ricordando, come anche
Badolati fa nel suo libro, gli attentati alle caserme, giudici uccisi e tombe
incendiate. Il Procuratore fa notare che, dopo via D’Amelio, i corleonesi
approdarono in Calabria per proporre ai capi mafia calabresi di attuare una
linea stragista simile alla loro. ‘Ndrangheta e mafia siciliana sono state
sempre in ottimi rapporti, tanto che Mico Tripodo di Reggio Calabria fece il
compare d’anello a Totò Riina! In quell’occasione i calabresi diedero risposta
negativa ma, come sottolinea Lombardo, le loro sono parole apparenti: mentre i
mafiosi siciliani facevano la gran parte del lavoro per arrivare alla famosa
quanto oscura trattativa Stato-mafia, i mafiosi nostrani “facevano lo sprint
finale e vincevano”, dice il Procuratore. La trattativa nasce in Calabria con
un disegno comune ad una mafia universale che non conosce confini territoriali.
“La ‘ndrangheta non è affatto arcaica”,
dice ancora Lombardo, perché è sempre trent’anni avanti alla giustizia, tant’è
che i magistrati ancora non hanno tutti i pezzi del puzzle. Tant’è che Paolo
Borsellino è morto perché 26 anni fa aveva scoperchiato il calderone ed aveva
sorpassato la mafia. Ma, grazie al lavoro dei magistrati diligenti e seri,
dediti al loro lavoro come il Procuratore Lombardo e giornalisti/appassionati/studiosi
come Badolati che si informano e raccontano la vera indole mafiosa ed i
risultati della magistratura, spesso aiutandola, la giustizia potrà fare
davvero passi in avanti. Una chiave di lettura valida è stata fornita dal
sociologo Giap Parini con una similitudine azzeccata: “Se la mafia è un prisma
non concentriamoci sulle facce ma sul solido che le unisce”. Sembra quasi
banale, ma se iniziassimo a farci caso, noteremmo che, se siamo dieci passi
dietro la mafia è proprio per un modo sbagliato di intenderla: la mafia è una,
chiamata in modi differenti, ma è un fenomeno, anzi, una realtà unitaria. Concetto
che, velatamente, voleva far capire il collaboratore di giustizia Leonardo
Messina alla Commissione Antimafia. I libri di Arcangelo Badolati vogliono
smitizzare la mafia rendendola nuda e cruda nella sua sregolatezza e, come
diceva proprio ieri sera, privandola di un aspetto importante per i mafiosi
quale è l’ominità, perché gli uomini di mafia vengono beffati due volte: la
prima, quando pensano di comandare ed invece “sarebbe bastata una smorfia della
donna per far cambiare l’atteggiamento del marito”; la seconda, quando gli
uomini di mafia pensano di essere tali ammazzando bambini, donne e facendo a
pezzettini i corpi dei servitori dello Stato. Giuseppe Lombardo, a tal
proposito, ci lascia un suggerimento: “Loro vogliono apparire quello che non
sono e se loro non vogliono cambiare dobbiamo cambiare noi il modo di guardarli”.
Federica Giovinco