FEMMINICIDIO E NON SOLO di Rosario Perri

Se il patriarca diventa classe dirigente, perché noi di Nuove Narrazioni insistiamo sulla doppia preferenza di genere. Sono giorni difficili da ingoiare, una donna a Reggio Calabria lotta per sopravvivere alla bestialità di un ex marito. Intanto i casi di femminicidio non accennano a diminuire e meno di 24 ore fa a Cosenza è stato arrestato un orco che abusava di una ragazzina. Le donne sono sotto attacco: bruciate, abusate, umiliate da un Consiglio regionale che associa la rivendicazione di un diritto ad una rimostranza da ultras. I fatti non sono affatto scollegati, anzi. C’è da augurarsi che non ci si stanchi a combattere su tutti questi fronti: dalla messa in discussione dei diritti acquisiti, dal DDL Pillon che mortifica soprattutto le donne che decidono di separarsi per scappare dalla violenza, un decreto frutto del più becero patriarcato divenuto classe dirigente.  Da quando è in carica questo governo, evanescente e litigioso sulle questioni cruciali come la Tav, l’obiettivo è sempre e solo stato la limitazione dei diritti acquisiti. Si patrocinano e presiedono iniziative pubbliche, come quella di Verona, in cui viene attaccata la Legge 194, vengono demonizzati i gay e ridicolizzata la comunità Lgbti; viene dato spazio e potere al fantomatico Movimento per la famiglia tradizionale, un movimento artistico che non tiene conto della complessività delle famiglie di oggi. La portata innovativa della Legge Cirinnà e l’accettazione delle famiglie arcobaleno è stata completamente vanificata da questa ondata di oscurantismo becero, uomini e bambini che, anche se qualcuno fa finta che non esistano, ci sono e chiedono legittimità e rispetto. Anche in merito alla violenza contro le donne, ci si limita a qualche voce isolata che si leva dal governo a condannare il gesto, quando il carnefice è straniero, mentre un silenzio assordante ed una assenza completa di provvedimenti coinvolge gli altri casi. Come si combatte questa violenza? Educando le giovani generazioni al rispetto dei sentimenti e delle libertà individuali. Avete letto che il Governo si sta impegnando in questo senso? No. Ma se qualche iniziativa viene presa da scuole o università, si evoca lo spettro inesistente del “gender”. E intanto le donne continuano a morire di femminicidio e le ragazzine ad essere stuprate, con motivazioni di giudici che lasciano perplessi con espressioni come “tempeste emotive” o giudizi estetici sulla vittima per scagionare il carnefice. In tutto ciò cosa c’entra la mancata approvazione della doppia preferenza di genere in Consiglio regionale? Centra eccome! In un momento storico così complesso ci si aggrappa a ciò che c’è già, come la Legge 20 del 2016, che garantisce la possibilità di esprimere la doppia preferenza di genere nella legge elettorale. Una legge nata da anni di lotte e di rivendicazioni, una legge già inserita nelle leggi elettorali della maggior parte delle regioni italiane, tranne la Calabria. La nostra terra sconta anche questo ritardo quindi non si può non gioire quando finalmente, dal 2015, data di inizio dell’iter della legge in commissione, arriva nel 2019 in consiglio la Legge Sculco “Promozione della parità di accesso tra uomini alle cariche elettive regionali”. Già a settembre si tentò di discutere la legge in Consiglio, ma le tante “perplessità” di alcuni consiglieri spinsero ad un primo rinvio. Dopo richieste, proteste e rivendicazioni, dopo una proposta di legge elaborata e votata dal consiglio comunale della città capoluogo, l’11 marzo viene calendarizzata la Legge Sculco. L’esito di quel consiglio è stato l’ennesimo rinvio ma quello che ha più ferito sono state le dichiarazioni dei singoli consiglieri che andrebbero trascritte e inserite come esempio di definizione del patriarcato istituzionale. Non è tanto il voto contrario o a favore, sono le parole, pesanti come macigni che lasciano trasparire non tanto mancanza di empatia, ma mancata conoscenza dei temi legati alla rivendicazione di diritti, all’evoluzione delle politiche di genere che partono da lontano e affondano le radici nelle democrazie più illuminate e civili come quelle dei paesi del nord Europa, tra i primi ad adottare la doppia preferenza accostata ad un welfare più rispetto della volontà di donne lavoratrici e ideatrici del congedo parentale anche per il papà. Una società che ha consentito alle donne di sfondare quel famoso tetto di cristallo, ha costituito da sempre un modello di seguire ed emulare. Negli ultimi anni non solo la legge Golfo-Mosca ha consentito alle donne di abbattere degli ostacoli nel mondo del lavoro che le relegava a ruoli sempre più marginali e non apicali. Questa influenza scandinava ha spinto negli anni scorsi i partiti ad attuare forme di facilitazione per l’accesso delle donne alle cariche effettive, imponendo regolamenti che prevedevano liste con alternanza di genere. Tutto ebbe inizio con la legge 2015 del 2012 che ha introdotto una serie di misure con il chiaro scopo di favorire l’equilibrio di genere nei comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti. Altra norma importante in questo senso è stata la cosiddetta Legge Delrio del 2014 che impone ai comuni al di sopra dei 3.000 abitanti la composizione di giunte comunali dove nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura inferiore al 40%. Bene, tutta questa stagione di diritti rischia di essere bloccata da questa classe dirigente, nazionale e regionale, autorefernziale e irrispettosa. Nella seduta dell’11 abbiamo assistito all’evocazione di termini come “starnazzanti” riferito al pubblico femminile legittimamente adirato o al paragone con gli ultras, come se rivendicare un diritto fosse assimilabile al tifo. Si pretende di interpretare i sentimenti di tutte le donne, auspicando una sorta di scala di priorità tra diritti: l’accesso alle cariche elettive o le mammografie. Chi può dire che gli altri temi all’ordine del giorno siano più importanti della Legge Sculco? Chi può arrogarsi il diritto di parlare per nome e per conto delle donne affermando che questo tema ha il consenso interessato solo di chi ambisce a candidarsi? E se anche fosse così, questo non merita spazio nella tanto indaffarata agenda di questo consiglio? Perché paragonare le elezioni provinciali a quelle regionali, posto che alle provinciali non esiste doppia preferenza e tante donne preferiscono non essere delle semplici prestanome? Perché l’impeto legislativo di alcuni consiglieri si riscopre proprio in questo periodo, quando è in discussione la legge Sculco?! Che senso ha la terza preferenza alle elezioni regionali, che non hanno nulla a che vedere con le elezioni regionali, visto che in quest’ultimo caso si parla di collegi mastodontici, come ha spiegato bene il presidente Oliverio? E perché i consiglieri indignati per la mancata “condivisione” la legge non hanno utilizzato le proprie prerogative, provando a modificarla con la proposta di emendamenti in commissione? E ancora…nel frattempo dal primo rinvio al secondo, perché non si è provato o chiesto di emendare o rivedere la legge? Il sospetto è che si sperava che la legge non venisse più richiamata dal Presidente irto, ed è talmente palese ed evidente da sorridere di fronte a toni alterati o rivendicazioni di mancanza di rispetto. E’ tutto un teatrino che non solo non ha tenuto in debita considerazione l’obbligo formale di adeguamento alla legge nazionale, per come spiegato magistralmente dal prof. Nocito qualche giorno prima, ma che ha mostrato la grettezza di una classe politica (non tutta) che mira a garantire se stessa o che rivendica come un successo l’aver messo in minoranza l’attuale maggioranza di centro sinistra…sempre tutto sulla pelle delle donne. Non sono bastati gli appelli di leader o parlamentari nazionali, non è bastato l’accorato appello di Oliverio, di sebi Romeo, di Arturo Bova e Giuseppe Giudiceandrea, questi ultimi tra i più accaniti sostenitori della legge, oltre alla proponente Sculco, che ha spiegato molto bene cosa si stava andando ad approvare.  Si è replicato lo stesso disegno, gli stessi mal di pancia, il pretest di fare opposizione dalla maggioranza sempre e solo sulla pelle delle donne. Appuntamento ora al 25 quando ci saranno tutte più alibi o freni inibitori. Nuove Narrazioni sarà in consiglio e se la legge non dovesse essere approvata farà sentire la propria voce, anche correndo il rischio di passare per “ultras più o meno brave”.