EMISSIONE DI BANCONOTE E INFLAZIONE

EMISSIONE DI BANCONOTE E INFLAZIONE

Ero ancora un ragazzo in quell'autunno del 1960, avevo tredici anni e mi apprestavo ad iniziare un nuovo anno scolastico, uno dei tanti. Mi avviavo, proprio in quei primi giorni d'ottobre, a frequentare la terza media. Era l'ultimo anno alle medie inferiori, l'anno che mi avrebbe dovuto aprire le porte delle scuole superiori (avrei scelto successivamente l'indirizzo e, solo a licenza acquisita, avrei poi optato per l'iscrizione al liceo classico), e mi sentivo già in "dovere" di interessarmi e di discutere di argomenti più grandi di me. Lo ricordo come se fosse accaduto appena ieri. Io ero tormentato dal problema della povertà, che ancora pesava sul meridione e anche sul mio piccolo paese. Soffrivo al pensiero dei problemi economici, che affliggevano tanti ragazzi che frequentavano la mia stessa sede scolastica. Mi rammaricavo per la povertà di quegli anni, io che ricco non ero, ma almeno avevo pane e pasta e, una volta alla settimana (la domenica), anche un pezzetto di carne preparata nel sugo che serviva per condire la pasta. Quando avevo un problema, sentivo subito il bisogno di parlarne con i miei compagni, nella speranza di rimuoverlo. E così, una mattina, circa venti minuti prima che suonasse la campanella dell'inizio delle lezioni, decisi di parlare del problema della povertà con un mio compagno, che aveva il papà che lavorava fuori, all'estero. Affrontando la questione, subito dissi che, secondo me, per vincere la povertà, lo Stato avrebbe dovuto stampare più banconote. Il mio compagno, di certo più accorto di me, mi disse che la cosa non era possibile perché l'emissione di banconote doveva essere proporzionale ai beni posseduti dallo Stato. Aveva ragione, in fondo stampare banconote in eccesso avrebbe significato creare inflazione. Col tempo, però, avrei imparato che l'inflazione non sempre è un male, anzi talora, se in misura contenuta, può essere un bene per l'economia d'un Paese, perché lo rende più competitivo per le vendite di beni a miglior prezzo, sollecitando sul mercato non solo la domanda interna, ma anche quella estera. L'importante è reinvestire poi le entrate in termini di nuove risorse e di sviluppo, sempre nella logica d'un aumento della domanda e, quindi, di nuovi impegni in lavoro e in produzione, onde garantire l'offerta. Certo, tutto va fatto con oculatezza e con intelligenza, senza sconvolgere il necessario equilibrio. E' la logica della giusta misura. Questo accorgimento tecnico, se così lo si può chiamare, col passare degli anni, però, è venuto meno. E' prevalso, infatti, un nuovo indirizzo di politica economica, un indirizzo interessato all'austerity, al contenimento dell'inflazione e ai tagli, al fine di rientrare dal grosso debito pubblico. A ben guardare, però, mi sembra che questa logica non sia stata poi tanto efficace. In fondo, il debito pubblico, nonostante tagli e austerity, è cresciuto ancora. I risultati conseguiti, in realtà, mi sembrano questi. O, forse, non lo sono? In concreto, si è intervenuti nei confronti d'un paziente, che aveva bisogno di sangue, non con delle adeguate trasfusioni per combattere l'anemia (si legga la metafora come "carenza di liquidità"), bensì con l'applicare delle sanguisuge (sempre più tasse) per prelevarne il sangue per altri interventi. E forse in ciò ha giocato anche la paura dell'inflazione, che ha generato una specie di psicosi. Intanto ci troviamo di nuovo in difficoltà. Come fare per uscirne? La ricchezza non nasce per caso, nè viene dall'austerity o dalle tasse, nasce dal lavoro e dalla produzione, per i quali si deve investire anche creando un minimo di inflazione. Ma lo si può fare? Non lo so! Certo, a distanza di sessant'anni, non avrei mai pensato di dover ritornare a parlare della povertà e delle sue tristi conseguenze e a chiedermi ancora dell'inflazione e dei suoi effetti. Speriamo che si trovi, e al più presto, la strada giusta per tornare a rivedere la luce!

Eugenio Maria Gallo