Brevi spunti di storia arbëreshë

Brevi spunti di storia arbëreshë

(di Virgilio Avato)

“Kush jemi, ka vimi ? (Chi siamo, da dove veniamo)? I miei amici, specialmente quelli arbëreshë, sanno che ormai da mezzo secolo mi occupo di dialogo religioso ed modo in particolare di ecumenismo. I progressi ottenuti in questo campo sono sotto gli occhi di tutti. Noi cattolici di rito bizantino che ancora qualche anno fa venivano visti come un ostacolo alla riunificazione delle due Chiese sorelle, siamo diventati “un ponte ed una risorsa per il raggiungimento di questo traguardo“ (Dichiarazione del Metropolita di Bursa Elpidophoros del Patriarcato Ecumenico a Frascineto). Sono seguiti gli importanti incontri del vescovo di Lungro, mons. Donato Oliverio con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo, con l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Ieronymos e con l’arcivescovo di Tirana e di tutta l’Albania Anastàs. A settembre 2019 l’Eparchia di Lungro è stata poi meta della storica visita del Patriarca Ecumenico Bartolomeo a coronamento dei festeggiamenti per il centenario dell’istituzione della Eparchia (1919-2019). Questo avvenimento straordinario sarà di grande giovamento al miglioramento dei rapporti fra le due Chiese e darà nuovo slancio all’ecumenismo. Quando, alcuni anni fa, feci il progetto di cui sopra, poi realizzato alla lettera, l‘unico che credette nel mio sogno e che mi sostenne in tutte le sue varie fasi, è stato Mons. Donato Oliverio, Eparca di Lungro al quale va il mio sentito ringraziamento per la fiducia accordatami. I risultati ottenuti sono stati la ricompensa per lo straordinario, lungo e costante lavoro ecumenico degli ultimi decenni. La cosa più importante in questo processo di avvicinamento fra le due Chiese è stata, secondo me, quella di aver cercato sempre il dialogo ed aver fatto comprendere ai nostri fratelli ortodossi che noi cattolici di rito bizantino che da oltre cinque secoli conserviamo e difendiamo le nostre tradizioni ortodosse e la lingua liturgica greca, non possiamo essere definiti uniti, o ancora peggio uniati, per il semplice fatto che l’unia è nata qualche secolo dopo la venuta dei nostri avi in Italia e che al loro arrivo sono stati accolti cordialmente dal Papa e dai vescovi latini e per oltre un secolo è stato permesso che i loro sacerdoti venissero consacrati dal delegato del Patriarca di Costantinopoli, il Metropolita di Ocrida. Questo avveniva anche perché era ancora vivo il ricordo del Concilio di Firenze che sancì l’unione fra le due Chiese. Importante è stato anche aver ricordato ai fratelli ortodossi che il nostro typikon è quello costantinopolitano e che molte nostre chiese sono dedicate alla Madonna di Costantinopoli. Certamente ha giocato un ruolo non indifferente l’antica amicizia dello scrivente con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo che risale a quando lo stesso era ancora un giovane diacono e studiava al Pontificio Istituto Orientale di Roma. Ho voluto fare questa lunga premessa per dire che a noi Arbëreshë la storia ha affidato compiti molto importanti che in parte abbiamo realizzato e dobbiamo essere capaci, pronti e specialmente degni di quelli che ci attendono. Le nostre origini albanesi e greche e l’essere cattolici e nello stesso tempo ortodossi sotto la giurisdizione del Papa, come del resto era prassi durante il primo millennio quando le due Chiese erano unite, ci assegna il compito di mediare non solo fra i cattolici e gli ortodossi, ma anche fra l’Albania e la Grecia, due Paesi che noi Arbëreshë amiamo ugualmente. Anche in questo caso è importante, prima di tutto, fare chiarezza sulla nostra storia. Dopo oltre cinque secoli, pur disponendo di tre facoltà di albanese non siamo ancora riusciti a pubblicare un libro sulla nostra storia, degna di questo nome. Su un fatto però ormai siamo tutti d’accordo, ossia che i nostri antenati non provenivano dall’Epiro, ma dalla Grecia dove si erano trasferiti a partire dal VII sec. ed in modo massiccio dopo l‘anno mille. Pertanto i nostri antenati, certamente di origine albanese, ma provenienti dalla Grecia avevano una identità, non solo albanese, ma, dopo la lunga permanenza nell’Ellade, anche greca, per cui sarebbe giusto definirci greco-albanesi. Per arrivare a queste conclusioni non serve una grande ricerca storica, ma basta analizzare il nostro arbëresh e l’origine dei nostri cognomi. Durante le mie ultime estati trascorse in Grecia ho semplicemente annotato in un quaderno i termini greci che man mano sentivo e che sono presenti nel nostro arbëresh. Uso il termine arbëresh in quanto nel mio paese, Strigari ed in quelli limitrofi, non ho mai sentito parlare di arbërisht, come si usa dire ora. Riporto i termini alla rinfusa, così come li ho annotati: Chiromeri, manuri, kraveglia, potissen, diovassen, mandigli, ga(i)dur, kardacaccia, anangassu, tsimbissen, ftei, charé, copiglie, figliakí, scamalissen, iatrí, iatrói, cheramidha, catochi, caicchi, parkagliessen, glipissí, pissa, cagliva, pic, calaméa, fogliea, marruglie, calamé, grign, argaglí, dhokani, drapri, stafidha, martirí, dhaffen, ghitòn, ghitonìa, rogalissen, murmurissen, ngramissen, ecc, ecc. Alcuni termini sono certamente di origine turca, giunti a noi grecizzati, e sottolineo che nessuno di questi termini è presente nello Shkip, l‘albanese parlato in Albania. Lo stesso discorso vale per i nostri cognomi di origine greca: Lascaris, Chinigò, Stratigò, Stammati, Schillizzi, Rizzo, Schirò, Candreva, Marchianò, Basile, Rodotà, Mazzuca, ecc. ecc. Naturalmente neppure questi cognomi sono presenti in Albania. Ma anche i cognomi di chiara origine albanese sono giunti a noi dalla Grecia dove sono ancora presenti: Bua, Spata, Busa, Caparelli, Strigari, Mbusati, ecc. Tutto questo nulla toglie alle nostre origini albanesi, ma il tempo trascorso in Grecia dai nostri avi ha influenzato certamente la nostra lingua e la nostra cultura. C’è stato un arricchimento linguistico e culturale, completato poi dall’influsso della lingua e cultura italiana negli ultimi cinque secoli. E non dimentichiamoci che noi Arbëreshë per cinque secoli siamo stati chiamati Greci e questo avveniva quando non esistevano come Stati né la Grecia, né l’Albania. Per secoli il termine greco è stato sinonimo di romeo, cittadino dell’Impero Romano di Oriente. In Italia le prime distinzioni fra Greci ed Albanesi avvengono al Collegio Greco di Roma nel XVIII secolo quando il Vescovo Schirò di Piana dei Greci, ora Piana degli Albanesi, un Arbëresh appunto con un cognome greco, decise di registrare gli alunni provenienti dai paesi arbëreshë come Albanesi e non più come Greci. Sottolineo che oggi quando un Arbëresh dice di essere Albanese non pensa certamente all’Albania, ma all’Arbëria e pertanto il termine albanese nei nostri paesi è sinonimo di arbëresh e non di albanese di Albania. La scoperta dell’Albania da parte degli Arbëreshë avviene alla fine del XIX inizi del XX sec. quando personaggi come Girolamo De Rada, Loricchio ecc. dedicarono tutte le loro forze per la nascita dello Stato albanese. Fino ad allora il termine Albania era totalmente sconosciuto agli Arbëreshë. Ma la vera svolta nella storiografia arbëresh si ebbe con l‘avvento del fascismo e l‘annessione dell‘Albania al Regno d’Italia. Era interesse dei fascisti mostrare gli Arbëreshë come Albanesi per saldare in questo modo l’annessione dell‘Albania alI’Italia e farla passare quasi come un atto di amicizia. Gli odiati Greci ai quali Mussolini voleva „spezzare i reni „ invece venivano considerati i veri nemici dell‘Italia e dell‘Albania e degli Arbëreshë. Mussolini infatti dopo la debacle greca, con un‘azione puerile decise di mutare il nome di Piana dei Greci in Piana degli Albanesi, con grande gioia degli Albanesi di Albania e fece cancellare tutti i nomi delle strade che facevano, in qualche modo, riferimento alla Grecia. Anche Via dei Greci a Napoli venne cambiata, ma con un gesto giusto e coraggioso qualche anno fa, i napoletani hanno ridato alla strada il suo nome originario. I nostri Arbëreshë durante l’occupazione dell’Albania furono protagonisti nella politica albanese di quel tempo. Ricordo il mio conterraneo Terenzio Tocci che ricoprì altissime cariche pubbliche e fu Presidente del Parlamento di Tirana. Fu fucilato dai comunisti quando presero il potere in Albania. Del ruolo degli Arbëreshë in Albania durante il fascismo non esiste alcuna ricerca. Dei collaborazionisti albanesi invece si sa che sono stati salvati tutti trasferendoli in Italia dove hanno continuato il lavoro di falsificazione della nostra storia con l’aiuto degli stessi Arbëreshë. In un certo senso hanno fatto un lavoro straordinario e ottenuto il risultato che volevano, senza alcuna opposizione da parte degli Arbëreshë. L‘Albania e Scanderbeck sono diventati i pilastri della storia arbëresh, nella totale indifferenza dei cosiddetti studiosi arbëreshë ed il termine Albania che nel nostro arbëresh non esisteva per il semplice fatto che i nostri antenati non l’hanno mai vista, essendo venuti dalla Grecia, è ormai sulla bocca di tutti. I nostri threnoi non ricordano però l’Albania, ma la Morea e Koroni. Scanderbeck che non ha niente a che fare con la nostra storia l‘hanno fatto diventare il nostro eroe nazionale. Non esiste ormai paese arbëresh senza un busto di Scanderbeck. Durante la visita del Patriarca Ecumenico Bartolomeo alla Eparchia di Lungro nel settembre 2019 erano presenti quasi tutti i sindaci dei Comuni arbëreshë ed il caso volle che sentissi il dialogo fra il sindaco di uno dei pochi Comuni che non ha ancora il busto dell’eroe Scandebeg che chiedeva ai colleghi come fare per poterlo avere. Mi permisi di far notare che la nostra storia non ha nulla a che fare con l’eroe albanese e rimasi di stucco quando mi rispose: „è un bel busto e poi ci viene dato gratis „. Diversa è la storia di alcuni paesi della Puglia e della Campania dove s’insediarono alcuni discendenti di Scanderbeck e molti suoi soldati con le loro famiglie. Per comprendere l‘operazione compiuta dagli Albanesi con la collaborazione dei nostri „studiosi“ vi faccio un esempio. E‘ esattamente come se si convincessero gli Arbëreshë che sono emigrati nel secolo scorso negli Stati Uniti di America che gli stessi non hanno assolutamente niente in comune con l‘Italia benché provengano tutti dall‘Italia, vi abbiano vissuto per quattro secoli, abbiano cognomi italiani o italianizzati, cantino hoi i bukuri Strigar (Oh mio bel San Cosmo) e parlino ancora l‘Italiano. Comprendo che a molti, specialmente a quelli che hanno contribuito alla realizzazione di questo falso storico, questa mia esposizione non piaccia, ma è, purtroppo, la pura verità. Scrivo queste cose non perché filogreco o filoalbanese, ma semplicemente perché se vogliamo proporci come ponte fra i Greci e gli Albanesi dobbiamo, prima di tutto, far chiarezza sulla nostra storia: Kush jemi e ka vimi. La chiarezza ci impone di dire la verità, ossia che i nostri antenati provenivano dalla Grecia e che Skanderbeg non ha avuto nessun legame con le nostre Comunità arbëreshë di Calabria e Sicilia. Concludo dicendo che chiamare albanesi i costumi tradizionali delle nostre donne è un‘altra grande falsità. Le donne dei nostri antenati erano vestite di stracci (zinzula) altro che con le costose stoffe napoletane dell‘ottocento, privilegio delle mogli dei benestanti Arbëreshë. L‘abbigliamento maschile è invece semplicemente una brutta copia dell‘abbigliamento greco/albanese importato solo qualche decennio fa. Dopo la caduta del comunismo con l’arrivo di tanti Albanesi nei nostri paesi arbëreshë si è verificato anche il forte influsso albanese sulla musica della nostra tradizione arbëresh, agevolato dalla partecipazione al Festival della canzone arbëresh che si svolge ogni anno a San Demetrio Corone di tanti gruppi provenienti dall’Albania. Peccato che non ci sia mai stata la partecipazione arvanitica, ossia degli Arbëreshë di Grecia che sono i nostri fratelli maggiori, come mi piace definirli. Ho scritto tutto questo per sottolineare la nostra straordinarietà e cioè di essere cattolici, ma di rito bizantino e di avere radici sia albanesi che greche. Tutti i sindaci dei nostri paesi arbëreshë e sottolineo tutti, si sono concentrati sulle nostre origini albanesi mettendo in bella vista i busti dell‘eroe nazionale albanese, Scanderbeck e le bandiere dell‘Albania. Possibile che a nessuno sia venuto il dubbio che così facendo abbiano limitato enormemente l’azione pubblicitaria che avrebbe dovuto incrementare il turismo in generale e perché no, anche il turismo religioso? Gli ortodossi che visitano le nostre chiese rimangono entusiasti dei mosaici e degli affreschi in perfetto stile bizantino e dei nostri canti bizantini. Ho voluto fare questa riflessione per sottolineare che i nostri paesi possiedono tutti i requisiti per poter fare del turismo il volano per la loro rinascita e, per non rimanere solo nel teorico, proporrei di affiancare al Festival della canzone arbëresh di San Demetrio Corone, un Festival di musica bizantina ed un festival sul folklore arbëresh che attirerebbero nella nostra ARBËRIA non solo Albanesi e Greci,ma potrebbero essere meta anche di ortodossi provenienti da tutta l‘Europa. Queste tre iniziative da sole potrebbero dare un forte impulso al turismo e salvare i nostri paesi dallo spopolamento, ormai in atto da anni.