ANTONIO MUNGO, FRAMMENTI DI UN'ANIMA

Tra sconfitte e rivincite, LA MIA VITA. Mario Vallone Editore San Nicolò di Ricadi (VV) - Finito di stampare nell'agosto 2021 presso Paprint srl (VV).

 

E' uno specchio a tre dimensioni, questo prosimetro di Antonio Mungo. Sì, uno specchio a tre dimensioni da cui, attraverso la immagine- memoria del passato, si esprimono e si flettono le altre due dimensioni, cioè il presente, misura di vita che scorre e in cui vive come nostalgia e ricordo il passato, ed il futuro in cui, per mezzo del sogno del “poeta- narratore”, presente e passato si fanno ancora speranza. Proprio per questo, secondo me, Antonio Mungo scrive di “frammenti di un'anima”, piuttosto che di fasi o di epoche d'una vita. In fondo sono frammenti d'un cammino i suoi sentimenti e le sue emozioni, proprio come i brani poetici o prosastici del suo lavoro; sono tessere d'un mosaico, in cui si offrono i colori chiari e scuri delle sue giornate, proprio come le luci e le ombre che si incontrano e si confondono con i colori delle stasgioni, tessere da togliere, da inserire o da spostare. E' un viaggio il suo prosimetro, come un viaggio è la vita e come tappe d'un viaggio sono i passaggi attraverso i luoghi del suo peregrinare, luoghi che, tuttavia, per riflesso, memoria o nostalgià, si riconducono sempre ad un termine “a quo”, donde si è diramato il suo cammino. Allora motore di tutto, per Antonio Mungo, diventa il paese natìo, Lattarico, il luogo da cui ha cominciato a guardare alla vita e al mondo e donde ha iniziato il proprio cammino di conoscenza e conoscenze. “Anche all'uomo / la vita è frantumata, / quando con violenza, / (…) / cancelli al proprio io / l'appartenenza. / (…) / Ho lasciato col pianto / - egli canta – il mio amato paese / (…) / Ma Lattarico sa / che là ho le mie radici / (…) / Lo sogno tutti i giorni / ne rivivo la vita / tra le sue case buie / (…) / Col corpo vivo altrove / ma è tra le sue strade / (…) / che ho sepolto il mio / cuore / e tutta la mia vita!” (Cfr. La mia terra nel cuore, pp. 260- 261- 262). Quanto amore in questi versi, quanti segni di vita e quanti sogni ed emozioni. Lo specchio da cui e in cui si flette la vita è il suo paese natìo. E, come Anteo a Gea, la propria madre terra, anche lui ritorna al proprio paese per ritrovare la vita e la gioia di vivere. E' per questo che presente e futuro Antonio Mungo li vive dalla dimensione del paese e dalla risonanza della vita del proprio passato, che ancora là è racchiusa e palpita. “Il calabrese – egli scrive – contempla il paese in cui è nato come i patriarchi fecero dinanzi alla Terra Promessa. (…) ogni luogo della Calabria è un luogo della memoria” (Cfr. Un “canto” per la Calabria Grande e Amara!, pp. 28- 29). C'è tutto l'orgoglio della propria calabresità in queste pagine di Antonio Mungo, insieme con un amore infinito e indomabile per la propria terra e per il proprio paese. “Arroccato su uno spuntone (…) il mio paese s'innalza fiero e, sembra toccare le nuvole se lo si osserva dal fiume (…). Ricordo il mio paese, con un groppo in gola... Ho dovuto lasciarlo (…). Ma il mio cuore è rimasto tra quelle vecchie case che sanno di pane e di fumo” (Cfr. Minaccioso contro il vento, pp. 34- 35). E al paese egli ritorna e si rivede ancora bambino in queste pagine. E' il ritorno al paese d'un tempo, al paese così come l'aveva conosciuto da bimbo e come l'aveva lasciato, un luogo diventato paradigmatico nel cuore dell'uomo- poeta e scrittore. In quel mondo incantato s'insinuano ancora i suoi ricordi, i sentimenti e le emozioni d'un tempo, i sogni e le persone care, i riti ed i gesti delle feste più amate, i genitori, i parenti, gli amici e tutta una comunità. Quel mondo e quelle figure sembrano vivere ancora così come, insieme, erano apparsi, un giorno, ai suoi occhi e alla sua vita. E al ritorno al paese si unisce il ritorno al padre, un punto fermo per Antonio Mungo, che del padre rivede ancora e ricorderà per sempre gli “occhi, pensosi, tristi” ed il “sorriso” rassicurante. “Volevi costruire per noi / il più grande / dei mondi possibili, / quel mondo / che un destino assurdo / ci ha rubato / in una fredda notte di dicembre / (…) / Ora, dagli spazi infiniti, / (…) / vuoi tu dirci qualcosa, / Papà! / Non sentiamo però / le tue parole, / avvertiamo sempre / viva la tua presenza / e ci comunichi la forza / per continuare a vivere / e sperare” (Cfr. A te, pp. 41- 42). Sì, il padre ed il paese, nel cuore e nell'opera di Antonio Mungo, costituiscono quasi un'endiadi: pensi l'uno e senti l'altro e viceversa. “Eppure, - egli scrive – ti ho lasciato, paese della mia vita, dei miei affetti, delle mie prime delusioni, ti ho lasciato per essere un anonimo in una città in cui la vita non è altro che caos (…) dove si perdono le radici e si diventa aridi, senza tradizioni” (Cfr. Minaccioso contro il vento, p. 38). Così, nel proprio profondo viaggio, fra i frammenti dell'anima metaforicamente, e nei luoghi delle proprie escursioni concretamente, egli cerca avidamente il paese ed il padre e spera, in silenzio di ritrovarli in una pietra o in uno guardo. Proprio per questo, scrivevo di sopra dello specchio del passato in cui si flettono il presente ed il futuro, insieme con la vita e con le sue storie vissute o da vivere, con le sue delusioni e con le sue speranze. In questo viaggio, l'anima nuda dell'uomo- poeta e scrittore si manifesta nella propria interezza e nei propri meandri più profondi, rivelando i segni più autentici della propria “grecità”, che torna spesso in questi Frammenti di un'anima. “Momenti felici, – egli canta – giornate inondate / di sole / offriva / ai miei fragili sogni, / la mia Itaca aspra e petrosa. / (…) / e vedevo le ninfe danzare. / Intrecciavano balli sfrenati / le Ninfe ed i Satiri, / allora! / Resta l'eco dei canti / e dei suoni / (…). Eco della mia gioventù!” (cfr. Itaca, p. 132). Ma non è Ulisse il suo eroe, bensì Achille, l'eroe che suona la lira. Ed ancora: “In una grotta profonda / mi perdo! / E' la sede di fauni e ninfe: / mi accoglie, / mi inoltro / e poi tutto è un oblio./ (…) / Voglio anch'io ritornare / innocente / ed innalzo il mio inno / alla vita. / Inebriato, stordito... / deluso! / Sono ombre / i miei fauni e le ninfe: / ritorno a Dante, / a Virgilio / ed Omero!” (cfr. Tra ninfe e cicale, p. 145). E, nella dolcezza del canto, l'esuberanza e la vitalità dionisiache si placano nell'armonia apollinea del canto. E la Grecia si fa una costante dei suoi viaggi. Ellade, dolce infanzia dell'uomo e dell'umanità, come ti riaffacci serena e luminosa in queste pagine di Antonio Mungo, quasi plaga felice delle origini del mondo! Così è pure per il suo cuore innamorato e deluso che vive in un alone di sospensione il proprio amore, fra alti e bassi, fra impennate e cadute, fra emozioni e lacrime, ma mai senza speranza: “Gli amori spezzati / le assenze rimpiante, / il pianto strozzato / (…) / i sofferti ricordi / (…) Si frantumano i sogni, / e la luce, che invita a sperare, / si vede / ma è sempre lontana. / Un barlume oramai / e tenace / continuo sperare” (Cfr. Nei momenti di insonnia..., pp. 109- 110). Ma il suo viaggio continua e diventa ricerca di pace e di senso, anche fra i luoghi della Terra Santa. Quanta serenità e quanta gioia interiore in quell'immersione nel fiume Giordano. “Sulla riva del fiume – egli scrive – vedevo persone avvolte da tuniche bianche. La mia follia comiciò a prendere il sopravvento sulla ragione; devo assolutamente indossare quella tunica (…). Fu un attimo, mi trovai nudo con la tunica bianca (…). Giunto al sito, un signore (…) mi strattonò (…) ed io (…) mi sono visto immergere nelle acque del fiume (…). La sensazione fu varia (…). Uscìi dal fiume, certamente non santificato, ma senza tosse e raffreddore (…). E' un'avventura che, a distanza di anni, ho ripetuto in altri siti (/...) e non c'è stata mai la stessa suggestione della prima immersione. Il viaggio riprese normalmente con le visite a Gerusalemme (…). Un viaggio che è rimasto e rimarrà scolpito e dinnanzi al quale, gli altri otto sbiadiscono” (Cfr. 10 Gennaio immerso nel Giordano, pp. 96- 97). Tessera dopo tessera, il mosaico si ricompone ed i frammenti ritrovano la propria unità nell'anima dell'uomo- poeta e scrittore, che insegue la propria vita in un “sé” che è lontano e si focalizza nel bimbo di ieri. Ha un senso la vita? Se lo domanda Antonio Mungo, anche quando non lo scrive esplicitamente. La sua ricerca, in fondo, il suo scavo fra i frammenti dell'anima è anche ricerca di senso. “Nel buio più tetro / - egli canta – sento di vagare, / nessun tormento / mi turba la mente... / E rivedo sulle strade erbose / del mio paese / un bambino. / Ha gli stessi miei occhi / le stesse mie mani / le stesse paure / (…). / Lo vedo smarrito, / solo. / Le sue ferite / si fanno le mie. / (…) / Nessuno / cura il mio pianto. / E la vita continua / così... / un sorriso e mille lacrime” (Cfr. Vagar mi fai coi miei pensieri..., pp. 115- 116- 117). Quanta tenerezza in quel bimbo, in cui si identifica e si rivela l'uomo. Poi, la sofferenza si placa nell'armonia del canto che rasserena il cuore: “La vita è quel pianto di bimbo, / futuro, / speranza, / illusione. / E' bello sapere / che il bimbo / sarà certezza / e domani. / E tutto si rinnova, / palingenesi eterna, / sotto la neve / che culla la vita” (Cfr. Una vita, p. 114). Soffre l'anima, ma ama la vita e sa che la “palingenesi” è la misura dell'essere. Ed è bello questo ritmo eterno di rinascita. Ce l'ha, allora, un senso la vita? Sì, ce l'ha e, forse, lo si può coglietre proprio in quel bimbo che, nei versi di Antonio Mungo, passa fra le strade del paese d'un tempo o si ferma a fissare il Presepe, preparato in casa dal padre: “Con gli occhi curiosi / e semplici / che ha solo / un bambino, / mi sono trovato io, / in età già matura, / a guardare quel luogo / che ha cambiato la storia. / (…). / E come da bambino / guardavo / il mio presepe / (…) / quel giorno, / quasi sgomento, / ho chinato lo sguardo / dinanzi al luogo arcano, / dove, / povero fra i poveri, / è nato un re per noi. / Se rivivo la scena, / (…) / piango a dirotto / ancora, / perché mi sento inetto, / (…) / dinanzi a un Bimbo / povero / che mi ha letto / nell'anima!” (Cfr. Talvolta è bello piangere!, pp. 274- 275). Ora le tessere hanno ricomposto per intero il mosaico e la luce torna ad esprimersi nei suoi mille stupendi colori. Belli e ricchi di significato questi versi! E' questa la risposta alla ricerca di senso: il senso della vita è l'eterno! Decisamente un bel libro il prosimetro di Antonio Mungo. Sono pagine ricche di emozioni e di sentimento, di suggestioni e di valori. Sono voci che vengono dal profondo e parlano al cuore disegnando, fra i sospiri dell'anima, le trame interessanti e coinvolgenti d'un vissuto, in cui si dipanano gli stati d'animo ed il senso d'un viaggio che è anche il nostro.

Eugenio Maria Gallo