ROSARIO LIVATINO, IL VISO DI BAMBINO SFORACCHIATO DA COLPI: QUESTA E’ LA MAFIA
ROSARIO
LIVATINO, giudice siciliano ucciso il 21 settembre 1990 con una vera e propria
esecuzione mafiosa da parte di quattro killer della Stidda. Quattro. Lui era
uno solo: “Meglio che muoia uno solo, piuttosto che di più”, sosteneva. Era a
bordo della sua vettura in direzione tribunale quando fu braccato dagli assassini.
Il giudice tentò la fuga a piedi ma venne colpito da un proiettile alla spalla,
continuò la sua disperata corsa ma, raggiunto, venne freddato con un colpo in
faccia. Un racconto crudo, senza eufemismi, perché la mafia non è un mito, non
si fa scrupoli. No, la mafia è cruda, come crudo può essere scoprire che manca
proprio dell’elemento che, da sempre, vanta di avere: l’onore. Quale onore
spara in faccia ad un ragazzo di 38 anni? 38 anni aveva il giudice Livatino,
quel “ragazzino” che indagò su Tangentopoli siciliana e confiscò parecchi beni
ai mafiosi per bloccarne l’arricchimento. Non è un racconto così freddo che merita
Rosario Livatino, non è un racconto che purtroppo basta alla gente per evitare
di promuovere, ancora, la mafia. Così lascerei parlare Paolo Borsellino, un
testimone della crudeltà mafiosa che con le sue parole di rabbia e tristezza
riuscirà, certamente, ad entrare meglio nell’anima di chi, chiudendo gli occhi,
riesce ad ascoltarlo: “Non ho potuto
evitare che in me insorgesse la mortificante sensazione del già visto, del già
sentito, del già detto e del già fatto, come se ancora una volta, per
inevitabile condanna storica fosse necessario sottoporsi a questo inevitabile
ed inutile rituale. Del già visto, perché il viso innocente di bambino di
Rosario, sforacchiato da colpi micidiali, che mi è apparso in fondo alla brulla
scarpata sotto il lenzuolo bianco, il cui lembo non ho potuto fare a meno di
sollevare, mi ha immediatamente richiamato alla memoria tanti altri visi di
colleghi ed amici, colpiti anch’essi nella loro giovinezza o maturità dalle
mani omicide che percorrono questa terra, impunite e con terrificante sicurezza
di perdurante impunità. Del già sentito, perché subito dopo ho riascoltato
esplodere lo sciacallaggio morale di chi, anche tra colleghi, non trova di
meglio che addebitare alla stessa magistratura siciliana la responsabilità di
questi tragici eventi, risollevando stantie argomentazioni razzistiche, che
dimenticano come tutto quello che contro la mafia si è fatto in Sicilia è stato
opera di magistrati siciliani e dei loro collaboratori, nonostante la
scandalosa assenza delle altre Istituzioni dello Stato che vi dispiegassero
doverosamente tutti i mezzi e gli sforzi dovuti.
[…] Del già detto, perché il macabro inutile
rituale comprende anche un determinato periodo
di lamentazioni da un lato e promesse dall’altro, l’une avanzate e le altre
propinate quasi come un medicinale digestivo della tragedia, affinché dopo
alcuni giorni più non se ne parli e ci si possa continuare ad occupare, senza
distrazioni fastidiose, della crisi del Golfo e delle grandi civili riforme
sanitarie o carcerarie.
[…]
Sì è vero, dopo ogni barbaro assassinio di
giudici non si è verificato alcun cedimento né si è registrata alcuna
defezione; anzi il lavoro è continuato con maggiori sacrifici e risultati
apprezzabili. Ma abbiamo detto già due anni fa che l’impegno dei magistrati non
poteva costituire alibi per le perduranti gravissime inadempienze che
contribuiscono a tenere questa terra in preda alle organizzazioni criminali.
Aggiungiamo oggi che questo impegno è allo stremo: a forza di spillar vino
dalla botte questa si svuota. E qui non di vino si tratta”.
Non è la morte che li farà scomparire, ma lo sterile ricordo senza impegno nel proseguire la loro missione.
Federica Giovinco