INCHIESTA MATTEO MESSINA DENARO: ECCO DOVE POTREBBE ESSERE

INCHIESTA MATTEO MESSINA DENARO: ECCO DOVE POTREBBE ESSERE

“Una bestia terribile”. Questa è la mafia per Rosa Filardo, la cugina di primo grado di Matteo Messina Denaro, boss di Castelvetrano, latitante dal 1993 ed ultimo ideatore di quella spietata stagione stragista che portò via, all’Italia e al mondo intero, tanti grandi figli giusti. Messina Denaro è ritenuto non solo appoggiato dalla sua famiglia e dai punciuti, ossia dagli affiliati alla mafia, quanto anche e soprattutto sostenuto ed aiutato dai colletti bianchi a livello internazionale. Addirittura la sua persona è centro di equilibrio, intanto tra le cosche, poi anello di congiunzione con la politica e la magistratura colluse, tanto da far pensare che un suo possibile arresto o morte comporterebbero un ritorno alle guerre di mafia e ad una forte instabilità istituzionale. Viene da pensare che, probabilmente, questa persona sia molto comoda per noi altri cittadini, quanto invece, questa situazione, porta il benestare di sole due classi: la politica avida di potere e soldi e la mafia. Per non farci sopraffare dalle illusioni e dai miti collegati a Matteo Messina Denaro, cerchiamo di renderlo comune mortale, iniziando a studiare e tracciare i suoi possibili movimenti e le sue zone di comfort, aiutandoci con le testimonianze, gli avvistamenti ed i luoghi frequentati da lui stesso, dalla famiglia naturale e dalla famiglia mafiosa con la quale progettò le stragi del ’92-‘93.

Matteo Messina Denaro inizia la sua latitanza da Forte dei Marmi, località marittima toscana in provincia di Lucca, quindi bagnata dal Mar Ligure che va ad incontrare, scendendo, il Tirreno. Sempre in Toscana, stavolta a Pisa, è stato avvistato recentemente il boss: in Toscana, ricordiamo, ha influenza il clan di Brancaccio, quartiere di Palermo.

Percorrendo la costa tirrenica, arriviamo in Calabria. Proprio in questa regione, i fratelli Dario e Nicola Notargiacomo e Stefano e Giuseppe Bartolomeo, trovarono un rifugio confortevole per la latitanza di Totò Riina, tra le montagne della Sila. ‘Ndrangheta e Cosa Nostra hanno stretto da sempre ottimi rapporti dandosi una mano a vicenda: alcuni collaboratori di giustizia calabresi ipotizzano e, addirittura sostengono, che Matteo Messina Denaro abbia passato un periodo della sua latitanza proprio in terra calabra. Ipotesi confermata anche dalle intercettazioni telefoniche dei fiancheggiatori del boss. D’altronde non furono pochi i viaggi di Riina, di cui Messina Denaro seguiva le orme, tra Reggio Calabria, Gioia Tauro, San Luca, Africo e zona della Locride; così come non sono poche le visite accertate di Messina Denaro nel lametino. Tranne due delle sopracitate località calabresi, tutte le altre sono bagnate dal Mar Tirreno o, comunque, stanno nei pressi della costa tirrenica.

In Sicilia, la sua terra, il boss ha radici presso Castelvetrano, provincia di Trapani, quindi anche qui parliamo di costa tirrenica, stessa costa che ospita Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e le più internate zone di Santa Ninfa, Vita e Salemi, Partanna, tutti luoghi in cui sono stati arrestati molti suoi fiancheggiatori.

Messina Denaro, da giovane, lavorava tra Marsala e Trapani, mentre tra Aspra e Bagheria risiedeva la sua compagna. Arrivò a controllare, con metodo mafioso, Agrigento e Palermo. Inutile dire che, tutte queste altre bellissime località di sole e di mare, costeggiano il Mar Tirreno.

Questo ripercorrere le zone frequentate da Messina Denaro e dai suoi predecessori, ci indica una chiara preferenza per le zone della costa tirrenica. E se Matteo Messina Denaro si spostasse proprio via mare? Come abbiamo visto, i posti da lui “visitati” si affacciano tutti sul Mar Tirreno.

Prendendo le mosse da questi viaggi accertati del boss, proviamo ancora a capire se in altre località tirreniche il boss siciliano può avere e avere avuto modo di reperire aiuto e supporto per la sua latitanza: in poche parole, vediamo se Messina Denaro ha agganci con le cosche che controllano la restante parte del Tirreno.

 Dopo la Toscana, in ordine viene Roma, controllata dai Casamonica. Ebbene, i Casamonica erano e sono osservanti delle regole della mafia siciliana e dipendenti da Riina, quando il boss era ancora in vita. Dalla sua morte si ipotizza che il nuovo capo dei capi sia proprio Messina Denaro.

Il nostro particolare tour arriva in Campania, a Marano di Napoli, dove il clan dei Nuvoletta era in contatto con Riina e di cui era fedele alleato.

 La Calabria del nord, “gloriosamente” gestita da Franco Muto c.d. re del pesce che controlla 150 km di costa tirrenica ed è l’unico a sedere sia al tavolo della ‘ndrangheta reggina sia al tavolo della camorra, mantiene ottimi rapporti, da sempre, con la mafia siciliana. Di Cosenza, quindi della Sila e della particolare amicizia con “zu Totò” abbiamo già parlato.

La Calabria del sud ci ricorda di Gioia Tauro, governata dai Molè e dai Piromalli, che aiutarono Nitto Santapaola e Totò Riina.

Reggio Calabria, prima di passare nelle mani dei De Stefano, fu di don Mico Tripodo, compare d’anello di Totò Riina che diede una mano anche a Liggio e Provenzano.

Alla stregua di questo tour, un dato è chiaro: la mafia siciliana, quindi anche e soprattutto Messina Denaro, hanno non solo agganci, ma fortissimi rapporti con le cosche di tutta l’Italia tirrenica.

Altre due teorie sembrano molto plausibili, seppur assolutamente non certe bensì solo qui ipotizzate: Matteo Messina Denaro potrebbe muoversi via mare; lo stesso, trascorrerebbe la sua latitanza in una località tirrenica, così da rendere più agevoli i suoi spostamenti via mare. In conclusione, considerando che un boss del suo calibro, troppo attaccato alle radici, non abbandonerebbe mai la sua terra ma che questo gli comporterebbe un alto rischio, tirando fuori la Sicilia resterebbe la Calabria: potremmo azzardare l’ipotesi che Matteo Messina Denaro risieda da qualche parte sulla costa tirrenica calabra. Come seconda ipotesi potrebbe ancora essere valida la Sila, quindi l’entroterra calabrese. Gli spostamenti sarebbero agevoli e la copertura sarebbe totale e certa.

Poi, osservando la cartina geografia, salta all’occhio l’isoletta di Ustica. Nessun collegamento accertato tra questa e il boss, ma sarebbe appetibile rimanere nel proprio territorio (infatti Ustica è in provincia di Palermo), avere una buona visuale ed un rapido collegamento con tutta la costa tirrenica italiana, avere a portata di mano un porto, un aliscafo ed un bus sul quale girare tutta l’isola.

“Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così” , diceva Giovanni Falcone. E Paolo Borsellino, come avevano sempre fatto quei due, riuscì ancora a completarlo: “Io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me e so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione che, o finanche vorrei dire, la certezza che tutto questo può costarci caro”.

           Federica Giovinco