Zef De Rada, 3

di Ettore Marino

Quest’oggi tocca ad altre due Canzoni, cui faremo seguire un’Anacreontica.

Canzoni, 5: Invano il fato m’ha strappato a te; / m’ha chiuso invano in estranea città, / muta all’anima e agli occhi che la scrutano: / sempre mi sei innanzi, / luce di sole, immagine / di cui il cuore vive. // Gioia non nutre più il corpo, non spiana / più la bocca al sorriso. Sul mio cuore / cupi sospiri s’abbattono e regnano: / sul cuore, che mordeva / delle tue labbra i frutti / e del tuo sguardo. Sbigottita pena / resta ai miei giorni. // Ora il passo vacilla, ora la cura / lo rinnova e lo forza su per erte / spoglie, o lo va cullando in riva al mare / il rimpianto dei giorni che vicino / a te passavo di felicità. // Il giorno muore a poco a poco, il sole / incorona degli ultimi suoi raggi / il Vesuvio… Ti vedo, e odio il tempo / che ci ha divisi. // No, invano, invano tentano montagne / ed acque e colli / di negarti allo sguardo: sei nel sole / che si offre e si cela, sei nel casto / lucore della luna, nelle stelle. / Sei nel cielo profondo, nelle acque / del mare, nella vita / stessa. Ridi negli occhi / della donna più bella, se s’incrociano / ai miei, qui, per le vie della città.

L’originale è in endecasillabi sciolti quasi per caso punteggiati da due sole coppie rimanti a bacio. Non è perciò neanch’esso una canzone; pure, ha un andamento franto, a stacchi forti: chiazze di stati d’animo e d’immagini, grumi densi, bastevoli – spero – a giustificare la scelta metrica della mia traduzione; e che, sia là che qua, si ricompattano nella volata verso il punto. Ne approfitto per dire che circa l’ordine dei brani e la loro rubricazione ho seguito il testo delle Opere zefderadiane citato nel primo di questi miei articoli, limitandomi a segnalare le sparute e apparenti incongruenze che rinvenni.

Canzoni, 7: Lontana, certo / me non ricordi, come / se mai m’avessi conosciuto, e forse / d’un nuovo desiderio nutri il petto. // Fa’ pure: il tempo che fummo felici / mi basta, e lascio al vento / rapire ogni pensiero. / Ma nel luogo che vide / fiorire il desiderio nel possesso, / la gioia s’abbraccia alla pena. // Giorni affogati nell’amore, / giorni ubriachi di felicità: / era bella ogni cosa, era in te / la vita mia, e tu vivevi in me. / Poi venne il vento / a inaridire tutti i nostri fiori. / E il ricordo consola / subdolo.

E chiudiamo, per oggi, con l’Anacreontica. L’ho tradotta due volte. La seconda versione, rubricata con l’identificativo “bis”, copre l’originale in ritmo, metro e numero di versi. Giudicherà il lettore quale è venuta peggio.

Anacreontiche, 1: Seduto accanto ad una donna bella, / dal seno bianco, / dal colmo seno, / dalla chioma odorosa ingioiellata, / io voglio bere / e bere ancora / del liquore di Bacco, / ed ubriacare / anima ed occhi / negli occhi suoi, che ha collo così candido. // La voce fusa / alla sua voce, / voglio cantare / sulla mia cetra / le lotte dell’amore. / L’amore, il vino: / consumare così / il mio brano di vita.

Anacreontiche, 1 bis: Seduto accanto / ad una bella / donna dal bianco, / dal colmo seno / – profumo emanino / gli ingioiellati / capelli suoi – / vo’ bere e bere / di Bacco il nettare, / ed ubriacare / anima ed occhi / negli occhi suoi. // La voce fusa / alla sua voce, / voglio cantare / sulla mia cetra / guerre d’amore, / piaghe d’amore. / Le donne, i calici, / la gioia… Il breve / mio tempo voglio / così passare.   CONTINUA