Raggi, 8. Marco Pantani. Requiem.

di Ettore Marino

Pantani era un poeta; la salita era il suo bell’argomento; il ritmo col quale pedalava era un nuovo e perfetto andar di sillabe, senza il quale la poesia è soltanto brodaglia. Marco patì molti incidenti. Alcuni molto gravi. Corse sereno solo un anno, e vinse Giro e Tour. Fu il 1998. L’anno dopo, la fredda applicazione di una legge a tutela della salute degli atleti gli vietò di terminare un Giro leggiadro come un sogno. Qualcosa in lui si ruppe. Una valanga di frasi frettolose lo sommerse. Ci aveva dato gioie immense. Mai gli negammo il nostro amore. Non servì a nulla.

Quando morì scrissi una lirica. Ha per titolo “Marco Pantani. Requiem”, lo stesso apposto all’articolo presente. La pubblicai, nel Marzo del 2004, sulle colonne di una semiseria gazzetta che si stampava a Firenze. Marco era morto un mese prima. Qui la riporto pari pari.

Noi, noi siamo la Chiacchiera. / Corroderemo vescovi con la nostra saliva, / e marmi e amori. // Marco, Marco Pantani: / mai s’era visto uno così! Bastava una salita / per burlarsi del peso, / perché il cielo bevesse / le lacrime il sangue / la polvere di qui. / Eri troppo per noi, per questi sei miliardi / scioccamente vogliosi di domani. / Eri troppo, fratello, e sarai / troppo poco per chi / pianse di gioia quando Alpe o Appennino / spianavi per un gioco / distratto di pedali. // Parlano, parlano ancora, parleranno / sempre. Riposa in pace. Il vento delle cime / fu inventato per te.

Così scrissi in quei giorni lontani. La morte dell’atleta eroe rendeva sciocca agli occhi miei la smania di vita di ogni altro mortale. Anche la mia, s’intende. Oggi ognuno di noi è ingaggiato in un alto duello con un nemico ignoto che ha lo sgraziato nome di Covid 19. Abbraccio ogni lettrice e ogni lettore. Auguro vita e gioia a tutti. Per il prossimo numero di questa mia rubrica prometto toni più leggeri. A presto!