Raggi, 5. Un Ciclismo che cambia

di Ettore Marino

 Greg Lemond, californiano, campione come pochi, diede la stura ad un Ciclismo che a pochi torna grato. Vinse due splendidi Mondiali, lo scanzonato Greg, e tre Giri di Francia di bellezza intensissima. Chi mai avrà il coraggio di scordare l’ultima tappa, a cronometro, del Tour del 1989, quando scaraventò Laurent Fignon di cima alla classifica lasciandogli soltanto otto secondi a gorgogliargli in gola? O l’immane vantaggio risucchiato palmo a palmo all’ingenuo Chiappucci lungo la via del Tour dell’anno successivo? Soltanto, Greg Lemond corse sul serio, e cioè con intenti di gloria e eternità, due corse sole: il Tour, appunto, e il Mondiale. Lemond fu sulle strade dai primi anni Ottanta ai primi anni Novanta, ma la carriera sua patì uno squarcio inferto da un assai grave incidente di caccia. Tornò in sella più forte, e le vittorie più belle conseguì quando la luce della gioventù prendeva appena a declinare. Tramontato il suo astro, dalla stessa sua terra, e precisamente dal Texas, surse tra mille e più speranze quello di Lance Armstrong. Era un buffo paffuto giovinone, quando apparve; e a Oslo, nel 1993, sotto una pioggia che sembrava cadere addosso pure a chi la corsa seguiva per TV, fece suo un Mondiale che lo scomposto modo con cui gioì fece dire a De Zan che si trattava proprio di un Mondiale a stelle e a strisce.

Poi, poi il buio. Il cancro s’avventò sull’atleta, che lottò e lottò e lottò, e vinse. Tornò alle corse. Era secco, silente, quasi algido, e buttò giù sette Giri di Francia, uno di fianco all’altro, quasi fossero stati barattoli da centrare, con un fucile a pallini di plastica, nella più strapaesana delle fiere. Sui suoi Tours s’abbatté la squalifica, e non sono più suoi. Di ciò, però, qui nulla importa. Importa invece che Lance Armstrong, dal suo ritorno, non corse che il Tour.

Anche Miguel Indurain, che pur vinse due Giri, in cuore non aveva se non quel Tour che fu suo dal ’91 al ’95.

Voglio dire che da Lemond e con Lemond i corridori han preso a farsi specialisti, e loro luminoso ma casuale antesignano era stato l’elegante metallico noiosissimo Jacques Anquetil che le corse di un giorno quasi disdegnava.

Sulla questione se sia stato Lemond a trasformar le cose o se queste sarebbero mutate anche se Greg avesse fatto il droghiere, l’avvocato o il postino, indaghino i saggi. Noi che saggi non siamo ci inchiniamo umilmente e allo sforzo che ogni ciclista produce e ai tempi che, imbeccati o no, godono a mutare. Soltanto, ci sarebbe piaciuto e piacerebbe ancora vedere tutti i grandi combattere a Sanremo, e ritrovarli al Fiandre, e a Roubaix, e a Liegi, e al Giro, e così seguitando fino a quel Lombardia che sontuoso abbassava il sipario su un palcoscenico che già a Sanremo ritrovavamo in festa con tutti i nostri eroi.