Raggi, 4. La voce del Ciclismo.

di Ettore Marino

 Vi furono momenti di telecronaca ciclistica in cui le immagini si facevano quasi superflue. Chiudevi allora gli occhi, giacché la voce del commentatore, solerte ancella degli eventi, diventava matrona, sacerdotessa, imperatrice, trasfigurando eventi e immagini in verità più leggiadre e più alte. È generoso il dormiveglia d’ogni vecchio: rivedi donne, vichi, boschi, quadri, statue, palazzi; oppure odi frammenti di poemi, o musichette sciocche, o rimproveri ingiusti patiti in tempi d’innocenza; ti par d’udire l’armonia delle stelle, o t’investe, come dal centro della terra, un canto di donna che muta in luce le stagioni e il travaglio del seme che diventa frutto. A volte, ti par di udire una cronaca ciclistica…

“Richiesto di chi secondo lui fosse il più promettente tra i corridori dell’ultima generazione, Eddy Merckx, pronunciando alla francese, ha risposto ‘Türò’, intendendo parlare, ovviamente, di Dietrich Thurau; Dietrich Thurau, che quest’anno ha fatto vedere cose egregie alla Ruta del Sol.” Questa secca notizia, enunciata da lui (no: da lei, dalla Voce) era già un’epica in frammento. Sua sapienza poetica era ripetere ciò che esigeva d’esser ripetuto. Un’altra perla ricorsiva era: “Bernard Hinault non incrocia mai lo sguardo con gli altri corridori poiché sostiene che, se gli occhi sono lo specchio dell’anima, allora sono pure lo specchio della stanchezza”. A ogni edizione del Giro del Lazio, quando, attraversando l’Appia antica, la carovana s’accostava alla tomba di Cecilia Metella, la Voce, come stupita dalla visione di quel mausoleo, te ne annunziava, te ne intensificava la presenza, ed ogni volta era la prima volta.

La voce, chi ha i miei anni ha già inteso, era quella di Adriano De Zan. De Zan era la scienza del ciclismo e l’amore per esso mutati in ritmo e in atto fonico. Nei più fitti grovigli coglieva al volo l’identità di ognuno; un ignoto scattava, e lui ti diceva chi fosse, così come soltanto lui, prima di Radio Corsa, prima della giuria, prima di un eventuale foto finish, riusciva a dare il volto e il nome giusti al vincitore della volata più rapida e folta.

I nomi, De Zan amava i nomi: pronunciarli, gustarli. “Vittorio, e per Vittorio intendo Adorni!”; “Guerino, e per Guerino intendo Farolfi!” era il tutto suo modo di introdurre qualcuno al discorso e all’attenzione dei telespettatori. Ragazzi, imitavamo con ironia affettuosa questo suo vezzo, noi, noi che crescemmo ai tempi suoi, e che quand’egli morì ci sentimmo privare di qualcosa.