ADDIO A PELE', IL CAMPIONE DAL SORRISO D'UN BAMBINO!

Quando, in quel lontano pomeriggio del 29 giugno 1958, un ragazzo non ancora diciottenne vinse il Campionanati mondiale di calcio, tutto il mondo, sportivo e no, ne fu favorevolmente impressionato e sembrò impazzire per lui. Quel ragazzo era Pelé, un giovanissimo calciatore brasiliano che aveva lasciato un segno (e che segno!) nel Campionato mondiale di calcio disputato in Svezia. Io, allora, avevo undici anni e, come tanti ragazzi della mia età, sognavo di fare il calciatore. Da quel quel 29 giugno non ci ho pensato più! Considerando, infatti, l'età del giovanissimo campione del mondo e confrontandola con la mia, mi resi conto che i tempi, per me, erano già stretti e capìi che non sarei mai stato un calciatore. Le immagini seguite, in casa di amici, su quella Tv in bianco e nero e da 17 pollici, mi avevano offerto, in quell'occasione, uno spettacolo sportivo, di cui solo in seguito avrei capito ed apprezzato la portata. Qualcosa, in quel 1958, forse anche un po' in sordina, nel mondo stava cambiando. Il primo febbraio di quell'anno, Domenico Modugno, a Sanremo, aveva vinto il Festival della Canzone con “Nel blu dipinto di blu”. Nel giugno, un ragazzo diveniva campione del mondo con la squadra di calcio del Brasile e, di lì a poco, il trentuno di agosto, Ercole Baldini avrebbe riportato in Italia il titolo di Campione del mondo di Ciclismo su strada, superando tutti gli avversari a Reims, in Francia. Nel successivo mese di ottobre, l'otto, sarebbe stato impiantato il primo pacemaker, ed il ventotto sarebbe stato eletto Papa il Cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, il “Papa Buono”, Giovanni XXIII. Era un mondo che stava cambiando e non solo sul piano musicale e sportivo. Nuovi volti si affacciavano all'orizzonte e si apriva una nuova epoca! Per me e per i ragazzi come me, nasceva un nuovo mito, Edson Arantes do Nascimento detto Pelé, un ragazzo che, col tempo, avrebbe segnato un'epoca! Pur avendo una grande ammirazione per lui, io non sono mai stato dalla sua parte. L'ho sempre visto come un avversario, per cui non ho mai tifato per lui o per la sua squadra nazionale o di club. Ai mondiali del '58, essendo assente l'Italia, che per la prima volta non si era qualificata, io tenevo per la Svezia, che presentava alcuni calciatori che giocavano nel campionato italiano. Eppure vedevo Pelé come un grande, tant'è che avervo dato il suo nome ad un mio compagno che giocava, con me. nella squadretta rionale. Conclusi i mondiali in Svezia, non avevamo avuto tante occasioni per rivedere il campione carioca nel Continente. I giornali sportivi, tuttavia, ne parlavano molto spesso ed anche per chi non si avvicinava alla stampa sportiva il “mito” continuava ad essere sempre presente. Sì, Pelé era già un mito, un calciatore di grandissimo livello, un artista del pallone, un campione insuperabile, che era molto difficile contrastare. Quando, qualche anno dopo, venne a giocare, con la nazionale brasiliana, in Italia contro gli azzurri, io tifai ossessivamente per Trapattoni, che riuscì a marcarlo stretto per quei venticinque minuti che il campione carioca restò in campo. Noi ragazzi parlammo a lungo del milanista Trapattoni, che era stato bravo nell'effrantore e nel fermare un campione di tale statura. In seguito, ebbi altre occasioni di vedere in campo Pelé, ovviamente in Tv, fino a quella fatidica finale del Campionato del mondo, allo stadio Azteca di Città del Messico, il 21 giugno 1970. Mi trovavo a Bari e seguivo quella finale, in casa di amici. Ho ancora davanti agli occhi quel volo in sospensione di Pelè, che si levò più in alto di Burgnich che lo marcava, e quel suo colpo di testa che spedì il pallone in rete, battendo Albertosi. Per me, era la fine d'un sogno. Capìi subito che non ce l'avremmo fatta, che avremmo perso la finale dicendo addio per sempre alla Coppa Rimet, che non sarebbe finita a Roma, ma definitivamente in Brasile. Ci misi un po' di tempo per stemperare la sofferenza, per mettere da parte il sentimento del tifoso e per apprezzare in toto quel grande gesto atletico di Pelé. Era la fine d'una epoca per la Rimet e per il campione brasiliano. Ero, allora, un giovane studente universitario e mi resi conto, all'improvviso, che anche per me si chiudeva un'epoca che era stata scandita e accompagnata, passo passo, anche dalle performance e dal mito del grande Pelé. Sì, il ragazzino, che nel '58 aveva piegato i campioni della Svezia, quella sera aveva battuto ogni record ed era diventato campione del mondo per la terza volta. Quel ragazzino ormai, da rempo, era un uomo, un uomo di successo e di valore, una eccezionale figura d'atleta, ma anche una bella persona che avrebbe lasciato un segno indelebile nella storia del calcio, e non solo, e del suo Paese. Ora Pelé non c'è più, se ne è andato nel corso di queste festività natalizie, lasciando in noi tutti un forte senso di dolore. Certe persone sembrano eterne e, al momento della loro dipartita, lasciano un profondo senso di vuoto e anche di stupore. Si fatica ad accetterne la scomparsa e a rendersi conto che, in realtà, anche i grandi possono perire. E Pelé è stato un grande per il suo Paese e per il mondo e non solo in ambito sportivo. La sua serietà e la sua professionalità hanno costituito e costituiranno per sempre una misura di valore ineguagliabile ed un esempio positivo da imitare. Pelè se n'è andato, ma il suo sorriso resterà sempre vivo, nei nostri cuori, a rappresentare il sorriso e la gioia di vivere di tutto un popolo, quella stessa gioia spontanea e sana che sorgeva immediata, in lui, nei suoi tifosi e in tutti gli sportivi, davanti ad un suo goal e ad una sua prodezza. Il campione non c'è più, ci ha lasciati, ma resterà indelebile il ricordo e resteranno vivi, per sempre, l'uomo, la sua grande personalità e quello sguardo dal sorriso di bambino. D'ora i poi, più nessuno rincorrerà paragoni e confronti e nessuno oserà più domondargli e domandarsi chi sia stato il più grande. Anche perché Pelé è stato e resterà il più grande.

Eugenio Maria Gallo