37 anni fa nasceva l’art. 416 bis c.p.: come contrastare la mafia

Dall’interrogatorio al Maxiprocesso di Palermo, nel 1985, Tommaso Buscetta tuonava: “Il fenomeno mafioso non è comune. Non è il brigatismo, non è la solita criminalità, perché il brigatismo e la criminalità lo Stato Italiano li combatte, e bene. È qualcosa di ben diverso: è la criminalità, più l’intelligenza, più l’omertà.”

Ciò chiaramente ci fa pensare quanto inutile ed inappropriato fosse il vigente art. 416 c.p. sull’associazione a delinquere semplice per contrastare la mafia. Quanto inutile sarebbe stato quel Maxiprocesso a Cosa Nostra senza un capo d’accusa appropriato.

Con Legge n. 646 del 13 settembre 1982, il Parlamento introduceva l’art. 416 bis c.p. titolato “Associazione a delinquere di stampo mafioso”, fortemente voluto da quella parte lungimirante della magistratura italiana e da qualche politico “libero”, come Pio La Torre. Tale legge, anche detta “Legge Rognoni-La Torre”, è frutto della proposta di Pio La Torre, deputato di Sinistra, accettata e promossa dall’allora Ministro dell’Interno, Virgilio Rognoni, esponente della Democrazia Cristiana. Questo perché, se la mafia la si vuole combattere veramente, non esistono partiti a dividere, ma esiste soltanto la volontà che unisce. L’art. 416 bis si è lasciato dietro una scia di sangue dei martiri di questo Stato, che hanno pagato con la vita un sistema più incisivo di lotta alla criminalità organizzata. Pio La Torre, intanto segretario del Pci regionale, fu ammazzato nel 1982, prima di vedere introdotto il suo “gioiellino” nel Codice Penale; Carlo Alberto Dalla Chiesa, fermo sostenitore dell’istituto della confisca, fu ammazzato qualche mese dopo. Questo tanto temuto articolo, vede il prezioso apporto tecnico di due giovani magistrati, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che si dedicarono ad una stesura efficace: «l'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».

L’art. 1.7 dispone sulle Misure di prevenzione patrimoniali, quali sequestro e confisca, ritenuta sempre obbligatoria nei confronti del condannato «delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l'impiego».

Pio La Torre aveva capito tutto:  “Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto ed i gruppi mafiosi, intaccandone il potere economico e marcando il confine tra l’economia legale e quella illegale”. La conferma di tutto ciò, arriva direttamente dalla bocca di Francesco Inzerillo, esponente di Cosa Nostra, che sosteneva non ci fosse nulla di più brutto della confisca.

Noi possiamo fare la nostra parte, anche sul piano economico: non piegandoci alle richieste di pizzo, di estorsione; evitando di andare a comprare nel negozio di Tizio, se sappiamo chi è Tizio, non dobbiamo sempre aspettare una sentenza di condanna per sapere che quello è o non è un mafioso, perché ai processi servono prove, serve tempo, serve seguire la burocrazia, mentre noi sappiamo prima, perché ci viviamo, perché vediamo. Allora non incentiviamo la loro economia, perché i mafiosi si fanno forti di due cose necessarie: l’essere tanti e l’essere ricchi. Se noi gli togliamo il consenso e gli togliamo i “finanziamenti”, loro non sono più niente, loro non ci possono fare più niente!

                    Federica Giovinco